Allenarsi per il match: conta la qualità
Da oltre un secolo gli scienziati hanno cercato nelle diverse discipline sportive un modo per raggiungere più velocemente miglioramenti accorciando la strada verso la cima, il massimo delle prestazioni. Il tennis non ha fatto eccezione, raggiungendo con l’ultima generazione di campioni, i Federer, Nadal, Djokovic, livelli mai visti.
Per alcuni studiosi era il talento naturale che consentiva agli atleti di eccellere ad alto livello. Oggi è opinione comune che servono circa 10 anni, o 10.000 ore di allenamento per poter considerare un atleta un esperto nel suo campo.
Ma cosa comporta un’unica ora di allenamento metodico? Quanto lungo può essere un allenamento metodico e come dev’essere strutturato per consentire il maggior miglioramento possibile? Fino ad oggi esistono pochi studi che trattano della durata ottimale giornaliera di un allenamento. È tuttavia noto che ogni singolo individuo necessita di tempi di allenamento differenti (10.000 ore sono solo una stima approssimativa). Ma tutti sono concordi nell’anteporre la qualità dell’allenamento alla quantità.
Alcuni studi di vecchia data sostengono che una durata dell’allenamento superiore alle 4 ore giornaliere non produce risultati particolari, mentre un allenamento superiore alle 2 ore comporta una riduzione insignificante degli effetti. Altri studi, che si occupano di capacità motorie propriocettive, per esempio scrivere a macchina, fanno presente che un allenamento deliberato è possibile solamente per la durata di 1 ora, fattore che rafforza ulteriormente la tesi della qualità sulla quantità.
Ogni giocatore ha bisogno di un grado individuale di eccitazione/attivazione, ottimale per richiamare la propria migliore performance.
Alcuni giocatori naturalmente hanno bisogno di un grado di eccitazione più alto per conseguire una buona performance, come per esempio, John McEnroe o Rafael Nadal. D’altro canto ci sono invece giocatori come Roger Federer, che riescono a richiamare la loro massima performance anche con un grado di eccitazione/attivazione basso. (In questo caso è importante notare che la ricerca fa presente che il grado di eccitazione/attivazione solitamente è più basso per giocatori meno capaci e che è influenzato da fattori quali capacità, complessità del compito, personalità e paura.)
Se un allenamento è ben strutturato e mirato i giocatori possono diventare più consapevoli delle proprie tendenze e attitudini, come per esempio il livello ottimale di eccitazione/attivazione e la capacità di restare costantemente concentrati. Da qui in avanti analizzeremo più approfonditamente alcuni concetti specifici, per comprendere come integrarli nei nostri programmi in modo da raggiungere i massimi progressi nel minor tempo possibile.
Lavorare sotto pressione
Ad eccezione di alcuni specifici miglioramenti tecnici è assolutamente importante che i giocatori imparino a gestire la pressione, in modo da essere completamente preparati alla pressione della competizione. Deve essere chiaro che colpire un gran numero di palle a caso durante una sessione di allenamento è tanto utile quanto non allenarsi per nulla. È invece fondamentale ridurre più possibile le differenze tra allenamento e torneo.
Prendiamo per esempio un semplice esercizio di palleggio incrociato: se giochiamo dei punti sottolineando positivamente la vittoria del punto ed evidenziando negativamente la perdita del punto, non solo aumenteremmo l’intensità dell’esercizio, ma aggiungeremmo all’allenamento anche una nuova dimensione che consentirebbe agli atleti di allenarsi in condizioni più simili al match. Molto spesso è sorprendente quanto l’esercizio cambi per qualità ed intensità mettendolo sotto forma di partita, poiché il desiderio di vincere nasce solo dal profondo del giocatore.
L’obiettivo principale di un allenamento di qualità è non di aiutare solamente il giocatore a mantenere il suo livello, ma anche di accrescerlo, portando continuamente l’atleta al suo limite. Finché non sarà disposto ad uscire da questa zona di comfort, potrà solamente sperare di mantenere il tuo livello, con possibilità ridotte o addirittura nulle di migliorare.
Allenare schemi, non i singoli colpi
Se ci alleniamo a caso diventa praticamente impossibile creare un collegamento con la gara. Molto spesso gli atleti in allenamento lavorano solo sui singoli colpi, invece che su schemi di gioco come quelli utilizzati in partita. Per essere più chiari: nell’allenamento del servizio bisognerebbe assolutamente allenare anche il gioco di gambe all’uscita dal servizio, per prepararsi al colpo successivo, e bisognerebbe effettuare anche il primo colpo dopo il servizio.
Quando si allena la prima volée, bisognerebbe allenare anche il colpo di approccio e la posizione corretta dopo la prima volée. La prima volée non è un colpo isolato, ma fa parte di una complessa situazione di gioco ed il collegamento delle singole azioni è un presupposto fondamentale per avere successo.
E’ovvio che la soluzione ideale, a qualunque livello, è avere un coach a disposizione. Quando non è possibile i concetti di cui sopra possono essere un primo punto di riferimento