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La questione dell’orologio di Alex Ruiz a Bruxelles ha aperto di nuovo il dibattito, già stuzzicato dal “Cile Gate” di Galan: il padel è davvero lo sport del fair play? Qualche caso di troppo fa vacillare la teoria, ma certi episodi fanno notizia proprio perché si contano sulle dita di una mano
06 maggio 2023
Padel e vittoria a ogni costo non stanno bene nella stessa frase. L’emozione che genera uno scambio di tanti colpi, i recuperi a sfidare le leggi della fisica, i tagli in slice impossibili da raccogliere da terra e gli smash violenti che ritornano illibati nella propria metà campo sono le cartoline di gioco che più spesso generano l’hype di cui gode ormai stabilmente la disciplina. Eppure, ogni highlight sottende a dei concetti di sportività e buona condotta che determinano non solo lo stile, ma anche l’essenza di questo sport.
Aprendo il regolamento, al titolo quarto si trova un intero paragrafo relativo al codice di (buona) condotta. Tra i tanti punti del paragrafo ne spicca uno apparentemente banale, scontato, in realtà quasi disarmante nella purezza del suo senso etico: “Tutti i giocatori debbono impegnarsi al massimo per vincere l’incontro a cui si sta partecipando”. Ecco, è in questo contesto che si istruisce l’immagine del padel come sport del fair play. Un’immagine che pare abbastanza aderente alla realtà.
Lo dicono le abitudini dei padelisti. Su tutte, quelle dell’autoarbitraggio, vigente non solo per gran parte dell’attività giovanile e amatoriale, ma riconoscibile anche tra i professionisti: il giudice di sedia c’è, esiste la possibilità (due a set) di chiamare un challenge, o l’hawk eye tennistico, per dirimere un dubbio. Ma salvo alcuni casi specifici d’intervento, è come se non ci fosse. La consuetudine più diffusa è che intervenga direttamente l’avversario ad invertire l’eventuale chiamata arbitrale errata: “Era buona, punto vostro”, e giù di applausi.
Ecco, a livello amatoriale, soprattutto nei Paesi come l’Italia che non hanno una cultura sportiva padelistica radicata, ma che anzi basano il proprio bacino d’utenza su atleti di altri sport prestati al campo coi vetri, non va sempre ed esattamente così. Serve tempo, servono esempi positivi. Se l’obiettivo è tracciare una strada virtuosa, può servire in egual misura estrapolare i rari esempi negativi, o comunque controversi, che accadono nel mondo dei “pro” per riconoscerne le specifiche e prenderne in ultima analisi le distanze.
Uno dei più eclatanti di questa prima metà di 2023 è stato il cosiddetto “Cile Gate”, occorso durante la finale del recente Open WPT di Santiago. Tapia e Coello sono in vantaggio di un set e un break su Lebron e Galan e servono per chiudere il torneo. Sul 30-30 Coello fionda una vibora a tre dita dal vetro di fondo, indifendibile per il Lobo. Match point, ma l’arbitro Honorio Garcia dice al microfono: “Trenta-quarenta” al posto che quarenta-trenta. Nessuno se ne accorge, tanto evidente fosse la percezione comune della bontà della pallina. Sul successivo scambio i numeri uno della Race vanno a segno e si abbracciano per l’ennesimo titolo portato a casa. Lebron si avvicina alla rete per il consueto saluto (altra norma di buona condotta), mentre Galan, che rientrava in campo dopo aver inseguito invano il x3 decisivo, alza il dito e dice: “L’arbitro però aveva detto trenta-quaranta…”.
Momento di impasse, pellegrinaggio da Garcia che, nonostante avesse appena pronunciato il fatidico tris: “Juego, set y partido”, ammette di aver dato punto alla risposta nel quindici precedente. La frittata è pronta per essere servita: non si può che ripetere il punto. Lebron e Galan riusciranno a vincere il punto de oro e successivamente il secondo set, trascinando Tapia e Coello ad un combattutissimo terzo, poi comunque conquistato dalla miglior coppia per distacco di questo 2023. Nelle interviste post-partita, Galan si sarebbe scusato, facendo intendere come l’occasione avesse fatto l’uomo ladro. Tuttavia, l’episodio sarebbe da ascrivere più a una topica arbitrale (più di una in realtà: chiamata sbagliata, tacito assenso al game, set and match, salvo ammissione di colpevolezza conclusiva) che a una reale antisportività del duo numero uno al mondo. Che comunque no, non ha fatto una bella figura.
Figura ancora peggiore quella di Ruiz e Tello a Bruxelles. Anche qui un match point, ma stavolta i giudici non c’entrano. C’entra in parte il regolamento, che alla voce: “Casi di punto o colpo disturbato” può ammettere lo slacciamento di un orologio come fattore esterno disturbante. Ruiz è a terra dopo un’uscita a doppio vetro complicatissima e, mettendo a terra la mano destra per recuperare equilibrio, perde l’oggetto dal polso destro; Sanyo carica ed esplode il x4 che consegna una vittoria mai in discussione a lui e al nuovo compagno Momo Gonzalez. Anche in questo caso, però, si alza un dito, quello di Ruiz, che lamenta la perdita dell’orologio e chiede, come norma consente, la ripetizione del punto.
Tecnici e giudici vanno a rivedere la dinamica, confermano che l’orologio è caduto a terra prima che il x4 di Gutierrez uscisse dal campo, e impugnato il codice non possono che dare ragione ai reclamanti, tra il forzatamente contenuto stupore di Sanyo e Momo. Anche qui il replay è beffardo (match point annullato), ma il risultato finale (6-1 7-6) non presta il fianco ad ulteriori polemiche. Le discussioni monteranno, è inevitabile. Ruiz, come da copione, eseguirà in piazza il proprio mea culpa, per rimediare (qui sì) ad un gesto istintivo, sicuramente umano, ma abbastanza lontano dal codice di sportività che il padel esige.
Visti gli esempi di cui sopra si potrebbe pensare che, dopotutto, il padel non sia poi veramente lo sport della correttezza e del fair play. Ma sono proprio questi pochi casi a certificarlo: se non fossero Gronchi rosa, non avrebbero nemmeno fatto notizia.