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Lo sviluppo atletico del padel: “serve allenarsi quanto i tennisti”

Tanti fattori, in particolare l’arrivo di un professionismo vero e proprio, hanno cambiato completamente l’approccio dei giocatori nei confronti dell’allenamento. Solo qualche anno fa nemmeno le star erano dei super atleti, mentre oggi le ore di lavoro (in campo, in palestra e non solo) sono sempre più vicine a quelle del tennis. La crescita di una disciplina si misura anche così

15 aprile 2023

La crescita di uno sport si misura non solo nel rilevare l’incremento numerico del suo seguito, ma anche nel valutare quanto in profondità si stia scendendo nella specializzazione dei vari aspetti che detto sport compongono. Si potrebbe parlare di sviluppo orizzontale e sviluppo verticale. A livello orizzontale, il fenomeno padel sta mangiando terreno in maniera esponenziale da almeno un lustro, con un’esplosione in termini di impennata nella pratica (e di costruzione campi e di vendita materiale e di interesse verso il Tour del professionisti) di cui non si scorge ancora l’esaurimento, o quantomeno la stabilizzazione.

Ma si può studiare la materia anche verticalmente, nell’interdisciplinarietà. Il padel non è solo padel, bandejas e viboras, tocco palla e por tres. Entrare in campo solo per giocare non basta più, prendere lezioni tecniche dai maestri nemmeno. L’asticella si sposta sempre più velocemente verso aspetti mentali e, in particolare, una preparazione fisica ed atletica già necessaria per altri sport omologhi.

Il riferimento al tennis, in questo caso, è immediato e obbligatorio. Nell’immaginario collettivo, il tennista è un praticante che corre tanto, colpisce forte e, di conseguenza, ha bisogno di preparare il proprio corpo perché dia prestazioni massime. Prendendo le linee guida dell’Accademia Nadal, la preparazione fisica di un giovane atleta che pratica il tennis si articola in due direzioni: capacità coordinative e prevenzione infortuni. Da una parte equilibrio negli appoggi, tempi di reazione, cambi di ritmo e di direzione, gioco di piedi; dall’altra mobilità articolare, elasticità, alleviamento delle tensioni, rinforzo muscolatura stabilizzatrice, focus su gomito e spalla. È chiaro quindi che il campo non sia più l’unico spazio utile, nemmeno per scattare tra cinesini e conetti; serve entrare in una palestra, affiancando le macchine agli esercizi a corpo libero.

Quando Rafa Nadal entrò nel circuito con smanicato e pinocchietti fu subito chiaro che avrebbe spinto la cultura del fisico del tennista verso nuove frontiere. Un’evoluzione meccanica diretta conseguenza di quella tecnica, intesa relativamente ai materiali. Le racchette hanno cominciato a essere più maneggiabili, leggere, l’incordatura a permettere velocità più alte e un punto d’impatto più ampio; al contrario, palline e superfici si sono progressivamente adattate a un rallentamento necessario per equilibrare il sistema.

Una svolta di centottanta gradi che è durata decenni ma che ha cambiato lo sport, quindi anche i suoi giocatori. Se con la racchetta di legno la prima cosa era la pulizia del gesto, perché se non si prendeva la pallina al centro del piatto corde semplicemente non andava di là dalla rete, con quelle del tennis moderno è cambiato il concetto di efficacia. Il tennis contemporaneo ha creato giocatori per i quali si sono cominciati a spendere soprannomi come Mano de Piedra (per il cileno Fernando Gonzalez, autentico bombardiere), ma ha altrettanto modellato il corpo dei migliori interpreti: esemplare l’elasticità da ginnasta divenuta segno distintivo di Nole Djokovic.

Puristi e romantici continuano ad emozionarsi per tocco ed estro, con chi rimpiange Federer che trova un po’ di sollievo nell’osservare Musetti. Ma lo stesso re Roger, senza un fine e duro lavoro sui propri valori fisici ed atletici, non avrebbe potuto mantenersi competitivo fino ai quarant’anni.

Tornando all’immaginario collettivo e riaprendo al padel, lo troviamo convergente verso il fratello maggiore anche su questi aspetti. L’allargamento della base ha portato ad un incremento del livello medio, che di conseguenza ha reso necessario un affinamento nella preparazione, tanto che la condizione atletica è una delle caratteristiche di punta dei più forti (Galan e Lebron, ma anche Tapia e Coello).

Javier Valdes, unico cileno nella top 100 del ranking mondiale, lo sottolinea: “Il livello è più alto e ti obbliga a prepararti meglio, una preparazione che è molto simile a quella del tennis. Nella mia equipe c’è un kinesiologo, uno psicologo, studiamo gli avversari e ho la fortuna di potermi dedicare completamente al padel”. Un fattore importante, accanto a quello anche qui presente dell’evoluzione dei materiali, è in questo senso lo sviluppo del professionismo.

Ai tempi in cui giocava suo padre Juan Carlos, numero uno cileno prima di lui, non esisteva. Quando Javier, passato dal tennis al padel dopo un problema all’ernia sofferto all’età di quattordici anni, si trasferì in Spagna ancora giovanissimo per trovare spazi e situazioni ideali per tentare di costruirsi una carriera padelistica, solo le prime otto coppie al mondo riuscivano a vivere di padel giocato. Oggi, a distanza di pochi anni, il cerchio si è allargato notevolmente e lui ci si trova dentro.

Se la richiesta fisica e atletica tra tennis e padel non può dirsi completamente sovrapponibile, l’aumento delle ore da dedicarvi lo diventa per necessità. A livello professionale senza dubbio. Una metà dei Superpibes – la coppia argentina Di Nenno-Stupaczuk riunitasi recentemente dopo aver dominato in patria a livello giovanile –, nello specifico quella di origini polacche, rivendica innanzitutto la mole di “sacrifici fatti fin da piccolo”, per poi ammettere: “I miei allenamenti sono molto duri. Mi piace esigere da me stesso sempre di più e superare i miei limiti. Mi alleno mattina e pomeriggio, alcune volte anche di sabato. La mia preparazione fisica comincia a gennaio, lavoro molto per poter iniziare la stagione al meglio. Un buon lavoro nella fase prestagionale mi permette di tenere un livello alto per tutto l’anno, anche perché quando iniziano i tornei il tempo che abbiamo per allenarci si riduce”.

Quello che accade tra i pro del circuito mondiale piove a cascata anche sul padel amatoriale, anche sui campi di un Paese in cui questo sport è in fase di proliferazione come l’Italia. Il divertimento dentro il campo è l’ingrediente che continua a fare adepti. Una volta che si entra in ritmo, però, la voglia di migliorarsi passerà sempre di più da allenamenti mirati. Sulla scia di quanto avviene in tanti altri sport.

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