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Il novarese, 22 anni, sente vicino il salto di qualità, dopo alcuni buoni risultati in una stagione complessivamente altalenante. "La carriera di un tennista - dice - è come una maratona, e ognuno ha i suoi tempi per arrivare a esplorare i suoi limiti".
di Raffaele Viglione | 13 novembre 2020
A stagione appena conclusa, il novarese Giovanni Fonio tira le somme di un'annata per forza altalenante, perché pesantemente condizionata dall'emergenza sanitaria e dalla conseguente interruzione dei circuiti professionistici in primavera.
Uno stop che il piemontese allenato da Matteo Sacchi ha dovuto subire a pochi mesi di distanza dalla conquista del suo primo titolo, ottenuto in un Itf da 15 mila dollari in Turchia, seguito da altre convincenti prestazioni nelle settimane successive.
Il 22enne (che ha fatto la sua prima comparsa nel circuito Futures 6 anni fa a Santa Margherita di Pula, cedendo nelle qualificazioni al corregionale Lorenzo Sonego) conferma: “Quest'anno, tra alti e bassi, ci sono stati buoni risultati, anche se non sono riuscito a trovare quella continuità di rendimento che avrei voluto”.
Tra gli “alti”, va di certo annoverata la semifinale raggiunta ad ottobre in un M25 in Portogallo. È stato uno di quei momenti che possono far fare il 'click' a un tennista?
“Penso di sì, perché sono partito dalle qualificazioni e in quasi tutte le partite ho battuto giocatori con classifica più alta. Vedere di riuscire a portare a casa un buon numero di partite giocando da sfavorito e su quella che non è nemmeno la mia superficie preferita (a Porto si giocava sul cemento, ndr) mi ha molto motivato e fatto prendere consapevolezza di essere sulla strada giusta”.
A livello di fiducia è più significativo vincere un 15.000 o fare semifinale in un 25?
“Sicuramente vincere un 15.000 perché la vittoria lascia una sensazione diversa, di un traguardo raggiunto. Anche a livello di punti è preferibile, per cui direi che sotto ogni aspetto è meglio la vittoria”.
Sinner e Musetti, con un livello altissimo raggiunto già alla loro età, fanno un po' sballare la media, ma a 22 anni senti di rientrare a pieno titolo nel gruppo di quelli per cui il meglio deve ancora venire?
“Arrivare a quei livelli a 18 anni capita a un paio di giocatori all'anno; per ogni giocatore il percorso è diverso da quello degli altri. La carriera di un tennista, comunque, non è mai la gara dei cento metri, ma una maratona: ci sono tanti step da superare, che ognuno affronta con i suoi tempi. In Italia abbiamo esempi di giocatori che sono arrivati un pochino più tardi rispetto agli altri e che sono sono uno stimolo per noi giovani”.
Per chi non ti ha mai visto giocare, a quale fra i tennisti italiani più affermati ti si potrebbe accostare?
“Quello a cui sono stato accostato più spesso è Simone Bolelli. Per il rovescio a una mano e per alcune caratteristiche come il fatto che entrambi non ci muoviamo benissimo, colpiamo piuttosto forte e ci piace fare gioco, soprattutto con il dritto”.
Prima hai definito altalenante la tua stagione. Non si può dire lo stesso dell'annata del Piazzano Novara, il circolo per cui giochi e che è salito dalla B alla A2, dopo la promozione dell'anno prima.
“Per noi era un debutto nella categoria e chiaramente è stato un campionato particolare per via del Covid, più corto del normale. Ogni giornata era un “dentro o fuori”, senza possibilità di sbagliare. È andata bene e io ho vinto tutte le partite giocando da numero 1, per cui sento di aver dato il mio contributo e sono molto contento per la mia città, Novara, che mai si era affacciata su questi palcoscenici. Essendo nato e cresciuto in quel circolo, ci tenevo davvero molto e sono stato tra i primi a sostenere che la promozione sarebbe stata alla nostra portata. Ci ho sempre creduto, ho fatto il mio in campo, ma ho anche tifato i miei compagni, incitandoli a fare del loro meglio”.