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Mancino, grintoso, consapevole: il laziale classe 2001 si racconta ripercorrendo i primi passi sul campo da tennis, con uno sguardo ai sogni e agli obiettivi di una carriera in rampa di lancio
di Matteo Mosciatti | 04 agosto 2019
Talento smisurato, grinta da vendere e rara consapevolezza delle proprie qualità. Giulio Zeppieri è uno degli junior più forti della storia del tennis italiano: lo dicono i numeri, i risultati, gli avversari sconfitti dal mancino classe 2001 nella sua acerba carriera. È anche un ragazzo schietto, deciso, uno che non ama nascondersi, che quando vede qualcosa che non gli piace te lo viene a dire, senza farsi troppi problemi. Simpatizzante della Roma e fratello di un giovane pugile, nato nella capitale ma al 100% di Latina, Giulio ripercorre i propri inizi, con uno sguardo a ciò che sarà.
“Da piccolo ho provato un po’ tutti gli sport. Calcio, basket, nuoto, baseball, mi piaceva muovermi, correre, fare attività. A 6 anni ho iniziato a giocare a tennis al Capanno Tennis Academy, il circolo affiliato alla mia scuola elementare per i corsi pomeridiani. Dovevo scegliere uno sport, ci portavano con il pullmino della scuola: mi buttai sul tennis”.
Una passione da quel momento condivisa con Giorgio, il fratello due anni più grande: “Papà giocava, e anche a mamma piaceva come sport. Così insieme a me cominciò Giorgio, che lo ha praticato per 5 anni. Oggi fa pugilato e studia: ha preso 93 su 100 alla maturità al liceo scientifico”.
Dal 2010 la sua guida sul terreno di gioco, e non solo, è Piero Melaranci, che quell’anno aveva anche un altro piccolo allievo: “Quando avevo 9 anni iniziò ad allenarmi Piero. Mi faceva giocare contro Roberto Miceli (oggi classificato 2.5, ndr), perdevo sempre e impazzivo. Rosicavo tantissimo per quelle sconfitte in allenamento”.
Ma quand’è che Giulio Zeppieri ha capito di poter fare del tennis la sua vita? “Mai” la prima risposta: “Per me è sempre stata una questione di step. Alla prima stagione da under 14 andai in Turchia per un torneo Tennis Europe, in cui persi agli ottavi di finale 6-3 7-6 contro il numero 8 d’Europa. Lì per lì pensai di avere di fronte un fenomeno, dopo un anno il numero 8 d’Europa under 14 ero io. Una volta vidi il numero 1 under 16, sembrava ingiocabile: dopo un anno il numero 1 under 16 ero io. A quel punto sognai gli Slam under 18, sarebbe stato incredibile andare avanti in quei tornei: dopo un anno sono arrivato in semifinale agli Australian Open Junior. Si procede step by step. L’anno scorso mi sembrava impossibile raggiungere la semifinale di un Challenger, quest’anno ci sono riuscito. L’obiettivo è continuare la crescita con questa rapidità, pensando di poter dire la mia, tra qualche stagione, nei Masters 1000 e negli Slam”.
È l’approccio mentale che fa la differenza: “Quando entri in quel mood, quando capisci che in quei contesti ci puoi stare, diventa tutto più facile. Da fuori pensi di non poter competere a certi livelli, poi quando ci stai ti rendi conto delle tue reali capacità. Secondo me Jannik Sinner la vive così: entra in campo, se ne infischia di chi ha di fronte, gioca il suo tennis e vince le sue partite. Io, quando è uscito il tabellone del Challenger di Parma e ho visto che avrei affrontato Paolo Lorenzi, ho detto a Peppe Fischetti (allenatore e sparring che lo segue assieme a Piero Melaranci, ndr): ‘Ma quando ci vinco?! È stato numero 33 del mondo, ha fatto ottavi di finale agli US Open, dove vado?!’ poi sono entrato in campo e ho imposto il mio gioco sino alla vittoria”.
Ora, per certi versi, la fase più complicata del percorso, la lotta per entrare nel “tennis che conta”. Tutti gli aspetti della vita dell’atleta rivolti verso quell’unico, grande obiettivo, con la diretta conseguenza di dover sacrificare la spensieratezza tipica di un ragazzo che non ha ancora compiuto 18 anni: “Mi piace uscire con i miei amici e staccare mentalmente dal tennis, ma sono davvero poche le occasioni in cui posso farlo. Per diventare un campione so di dover vivere in un certo modo, restando lontano da tante cose e mantenendo la gestione di altre. Il mio allenatore mi segue tanto anche fuori dal campo e io mi fido totalmente di lui. La strada è ancora lunga e per arrivare in alto bisogna dare il massimo giorno dopo giorno”.
Idee chiare, volontà di ferro: il ragazzo si farà.