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In occasione del centenario dell’Italia in Coppa Davis ripercorriamo, con cadenza settimanale, tutti i giovedì da oggi all'8 settembre, la storia del tennis nostrano attraverso i grandi eventi del tennis azzurro e i personaggi cardine delle varie epoche, che hanno caratterizzato anche le squadre nella massima competizione mondiale per nazioni del nostro sport.
di Vincenzo Martucci | 23 giugno 2022
Nel celebrare i 100 anni dall'esordio dell'Italia in Coppa Davis, partiamo da Paolo Cane’ e Omar Camporese in onore della città di Bologna che il 13-18 settembre torna ad ospitare una tappa importante della manifestazione, uno dei quattro gironi di qualificazione delle Davis Cup by Rakuten Finals. I due talenti locali hanno infatti lasciato un segno decisivo negli anni ‘80 e ‘90 col loro talento e con le loro imperfezioni. Non sono nati all’epoca del rinascimento Italiano, non hanno avuto i supporti tecno-logistici e psicologici di oggi, non hanno usufruito dei progressi culturali dell’ambiente. Sono i pionieri della formidabile squadra che, 40 anni dopo, con Berrettini, Sinner, Sonego, Musetti, Fognini e Bolelli, punta al trionfo in coppa Davis proprio a 100 anni dall’esordio del tennis azzurro in questa gara emozionante.
Lo chiamavano Isterix, Neuro e Paolino la Peste, lo disegnavano solo in negativo, ma Paolo Cané da Bologna è stato molto ma molto di più sia tennisticamente che umanamente e ha caratterizzato gli Anni 80 del tennis italiano, soprattutto di Coppa Davis, svezzando e trainando il concittadino Omar Camporese, che ha sicuramente superato il maestro arrivando al numero 18 del mondo.
Paolo, ragazzo semplice e intelligente, era scappato dalla scuola di Formia perché - impaziente e frenetico come sempre - voleva vivere quanto prima l’esperienza da professionista. Così non s’è fatto il fisico e l’ha scontato sulla propria pelle perché il tennis stava transitando da noble art a sport sempre più muscolare, e lui dopo un’oretta finiva la benzina e dava di matto come un qualsiasi ragazzo che impara e impreca, e odia e ama insieme lo sport inventato dal diavolo.
Cané aveva un servizio velocissimo, un turbo rovescio, transizione difesa-attacco, fantasia e cuore. Così, a tratti, irrideva gli svedesi d’acciaio che dominavano la sua epoca con il gioco-percentuale, ripetendo il gesto per ore e ore fino a schiantare l’avversario.
Così, in un indimenticabile weekend del 1990 sulla terra rossa di Cagliari, si ribellò alla sconfitta, quando lui, il numero 1 azzurro era sotto due set a zero e 2-2 15-40, tutti avevano dato ormai vincente il favorito, Jonas Svensson. All’improvviso Paolino diventò elettrico, cambiò ritmo, cominciò a spingere e spingere, e rovesciò il destino.
Poi accanto a Nargiso vinse il doppio e, dopo le montagne russe di un match “alla Cané” sorprese anche il numero uno dei vichinghi, Mats Wilander, firmando l’impresa con una volée in tuffo che resta nella storia.
Come altre imprese. Riuscite, come in Corea o mancate di un soffio come contro Thomas Muster, allora leader dell’Austria, e l’Australia dei Woodies.
Omar Camporese, anche lui bolognese, è lontano da Cané appena tre anni ma in realtà tanto di più come giocatore poco votato alla costruzione di trame da fondocampo, che cerca invece colpi risolutivi, servizio e diritto, esaltandosi sulle superfici più veloci.
Anche la sua carriera in Davis è segnata dalla Svezia, dall’esordio a Malmoe 1989 vinto contro Pernfors, quando entrò in squadra a sorpresa per l’ennesimo giallo pre-match della Davis azzurra: i titolari Cané e Nargiso fecero i ragazzacci in allenamento e capitan Adriano Panatta li spedì entrambe dietro la lavagna. Omar il buono che il povero Chiarino Cimurri faceva diventare ancor più mansueto, Omar coi piedi piatti e le movenze non certo frenetiche come l’amico Cané, in campo scaricava una potenza che l’Italia avrebbe rivisto solo trent’anni dopo, con Matteo Berrettini e Jannik Sinner.
Con quel potenziale, all’alba del 1991, il bolognese tenne testa a Boris Becker in procinto di diventare numero 1 della classifica ATP: quando, nell’arena indoor di Dortmund, avanti due set a zero contro Bum Bum sorprese il mondo intero e si fermò a un centimetro dall’impresa.
L’anno dopo, sempre indoor, a Bolzano, contro la Spagna, schiantò Emilio Sanchez, anche se poi si spense su una spiaggia brasiliana, nel 1993 a Maceiò, col gomito rovinato. Costretto a dire addio anche a una importante carriera da doppista, insieme agli amici Nargiso e Ivanisevic. Imperfetto e anche un po’ sfortunato come tutto quel tennis di talenti mai realizzati compiutamente. Anche per colpa di un ambiente allora immaturo.