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Il norvegese conquista a Buenos Aires il primo titolo Atp e balza al 34° posto del ranking, facendo in un colpo solo meglio del padre Christian. Il 22enne piemontese a Bangalore raggiunge la prima semifinale challenger e cerca conferme a Bergamo, dove fa il suo esordio pro Leo, 17enne erede del grande Bjorn
di Gianluca Strocchi | 18 febbraio 2020
La coincidenza può anche apparire strana o quanto meno singolare, però proprio mentre il Carnevale sta per vivere i suoi momenti clou ecco che nel circuito tennistico lasciano il segno i cosiddetti “figli d’arte”. E non si tratta di scherzi, visto che il norvegese Casper Ruud a Buenos Aires ha alzato al cielo domenica notte il suo primo trofeo ATP, facendo in un colpo solo meglio del padre Christian, e nella stessa settimana, a qualche migliaio di chilometri di distanza, sul cemento indiano di Bangalore, l’azzurro Julian Ocleppo ha raggiunto per la prima volta le semifinali a livello challenger (mettendo sotto alcuni avversari più quotati). Senza trascurare l’esordio nel tour dei “grandi” di Leo Borg, in tabellone con una wild card nel challenger di Bergamo.
Fa terribilmente sul serio in questo inizio di 2020 il norvegese Casper Ruud, che dopo aver aperto l’anno cogliendo le sue prime due vittorie su giocatori Top 20 alla ATP Cup – nella fattispecie imponendosi sullo statunitense John Isner e l’azzurro Fabio Fognini – ha saputo iscrivere il proprio nome nell’albo d’oro dell’”Argentina Open” di Buenos Aires, mettendo così in bacheca il primo titolo Atp – alla seconda finale: aveva perso con Garin a Houston nell’aprile 2019 - e al tempo stesso balzando al 34esimo posto della classifica mondiale. Il 21enne di Oslo – è nato il 22 dicembre 1998 -, che in semifinale contro il padrone di casa Juan Ignacio Londero è stato a tre punti dall’eliminazione, ha così superato papà Christian, classe 1972, arrivato al numero 39 del ranking nell’ottobre del 1995, stagione in cui raggiunse la finale nel torneo ATP di Bastad, suo miglior risultato nel circuito maggiore, dove comunque vanta scalpi eccellenti quali Kafelnikov e Corretja giusto per citarne un paio. E considerando che ormai da un po’ fa base alla Nadal Academy di Manacor non è detto che l’ascesa del giovane norvegese – tra i protagonisti delle ultime Next Gen ATP Finals a Milano – sia finita qui.
Nella stessa settimana si sono improvvisamente accesi i fari anche su Julian Ocleppo: classe 1997 (è nato il 1° agosto), il figlio dell'ex davisman Gianni (top 30 ATP negli anni Ottanta) ha centrato infatti una sorprendente quanto meritata semifinale al torneo Challenger di Bengaluru, in India, eliminando fra gli altri due teste di serie quali il cinese Zhizhen Zhang (n.136 Atp) e il bielorusso Ilia Ivashka (n.148 Atp) prima di trovare disco rosso davanti all’esperto australiano James Duckworth, già protagonista la settimana precedente nel torneo Atp di Pune.
Un risultato che ha consentito un balzo di 81 posizioni, fino alla casella 310 della classifica mondiale (best ranking) a Julian, che cercherà ora di estendere a Bergamo il suo positivo momento di forma: il sorteggio lo ha opposto a un qualificato, poi avrebbe l’eventuale derby tricolore con Filippo Baldi.
Proprio il challenger indoor lombardo fa da teatro alla “prima volta” nel circuito professionistico di Leo Borg, 16enne figlio dell’ex campionissimo svedese, avuto con l'ultima moglie Patricia Östfeldt (sposata nel 2002 dopo i divorzi da Mariana Simionescu e Loredana Bertè). Fin qui infatti il ragazzo nato il 15 maggio 2003, dopo essersi laureato campione nazionale under 16 per due anni di fila bissando il titolo under 14 che vinse sia in singolare che in doppio, si è limitato all'attività giovanile (attualmente numero 98 del ranking ITF): ha chiuso il 2019 vincendo il suo primo titolo Junior Tour a Tel Aviv, poi a gennaio ha colto una bella semifinale a San Josè, in Costa Rica, in un torneo Grade 1. Leo, che ha già fatto parlare di sé per aver interpretato la parte del padre da piccolo nel film “Borg vs. McEnroe” (aveva partecipato ai provini senza sapere quale fosse il tema del film), è sotto contratto con la stessa azienda di abbigliamento che ha accompagnato gli anni d'oro di papà Bjorn.
L’estate scorsa il biondo scandinavo ha giocato le qualificazioni della prova junior a Wimbledon, sugli stessi campi in cui il mitico Borg vinse cinque edizioni di fila, tra il 1976 e il 1980 (6 i trionfi al Roland Garros). A seguirlo è il tecnico svedese Rickard Billing: “In Leo crediamo fortemente e lavoreremo duro per poterlo sviluppare ulteriormente”, ha dichiarato il suo allenatore qualche tempo fa al quotidiano Aftonbladet. Il tempo non manca, resta da vedere se il nome che porta costituirà un peso e se il ragazzo “saprà gestire la pressione del confronto con il genitore”, come ha osservato Mats Wilander. Di sicuro l’avventura a Bergamo (affronterà un qualificato) rimarrà una tappa cruciale del suo percorso. E chissà che fra qualche anno…
Il circus della racchetta ha proposto diversi casi di figli d’arte che hanno seguito le orme paterne da professionisti, ecco i più significativi. Edouard Roger-Vasselin è nato il 28 novembre del 1983, lo stesso anno in cui il padre Christophe da numero 129 del mondo stupì tutti raggiungendo la semifinale al Roland Garros. Sulla terra parigina rimontò uno svantaggio di due set al terzo turno allo svizzero Heinz Gunthardt, per poi firmare la grande impresa nei quarti di finale eliminando per 64 64 76 l’allora numero uno mondiale Jimmy Connors, prima di cedere nel derby con il connazionale Yannick Noah, che in quella edizione conquistò l’unica vittoria transalpina nello Slam di casa e l’ultima in un major nell’era Open. Grazie a quell’exploit il giocatore francese di madre inglese balzò fino alla 29esima poltrona Atp, suo miglior piazzamento. C’è arrivato vicino Edouard, che dopo essere rimasto profondamente toccato dalla morte dell’amico Mathieu Montcourt nel 2009, ha saputo nel febbraio 2014 raggiungere la posizione numero 35 al mondo, in seguito alle due finali in poco tempo di Delray Beach e Chennai. Ma soddisfazioni ancora maggiori si è tolto nel doppio, con 20 trofei messi in bacheca, tra i quali il Roland Garros 2014 (con il connazionale Benneteau), oltre a due finali a Wimbledon (2016 – Benneteau) e lo scorso anno con Mahut. Vanta un best ranking di sesto al mondo e al momento è numero 19 di specialità.
I Krishnan sono di sicuro la coppia padre-figlio di maggior successo nella storia del tennis. Negli anni Sessanta, infatti, Ramanathan Krishnan era l’indiano più noto all’estero dopo il primo ministro Nehru, che lo invitò a colazione dopo averlo visto battere Drobny nel 1956 al primo turno a Wimbledon, torneo in cui è stato tre volte semifinalista. La carriera del figlio Ramesh segue la via tracciata dal padre, considerato uno dei migliori nell’Era Pre-Open. Anche lui vince il titolo junior a Wimbledon, nel 1979, dopo aver trionfato poche settimane prima al Roland Garros. Diventa così il numero 1 del mondo junior. Ai Championships arriva fino ai quarti di finale nel 1986, traguardo che tocca per due volte agli Us Open, nel 1981 e nel 1987. In quello stesso anno porta l’India in finale di Davis battendo gli australiani Fitzgerald e Masur. Ha lasciato il tennis nel 1993, con otto titoli ATP all’attivo e un best ranking di numero 23 del mondo raggiunto il 28 gennaio 1985.
Tennis affare di famiglia anche in casa Dent. Il 14 luglio 2002 lo statunitenseTaylor Dent vinse gli Hall of Fame Championships sull’erba di Newport, battendo in finale il connazionale James Blake e centrando il primo titolo in carriera a livello ATP. Il padre Phil Dent, di nazionalità australiana, ha avuto una carriera da tennista con tre trofei alzati al cielo (Sydney nel 1971 e 1979, Brisbane 1979) oltre a una finale Slam in Australia nel 1974. Sono così diventati il primo duo padre-figlio nella storia ad aver in bacheca titoli dell’ATP. Lo statunitense è riuscito persino a fare meglio del padre arrivando a vincere 4 tornei, aggiungendo alla lista Memphis, Bangkok e Mosca tutti datati 2003.
Un altro caso, di matrice australiana, è quello di Sandon Stolle, giocatore di estrazione universitaria americana, top 50 in singolare (con una sola finale persa a Nottingham) e ottimo doppista, arrivato al secondo posto mondiale e con all’attivo un successo agli Us Open del 1998 (in coppia col ceco Cyril Suk), oltre ad altri 22 titoli, tra cui anche Indian Wells e Miami. Il padre Fred, poi commentatore televisivo e giornalista, vanta tre consecutive finali a Wimbledon (1963, 1964 e 1965) e un saldo di sei finali Slam perse e due successi (Roland Garros 1965 e Us Open 1966). In doppio il bottino è di 10 titoli, vincendo almeno una volta tutti i Major.
Anche tra gli attuali Next Gen comunque ci sono figli d’arte da tenere d’occhio con attenzione, in prospettiva. Qualche nome?
Sebastian Korda, americano classe 2000, vincitore del titolo junior agli Australian Open 2018, proprio dove papà Petr nel 1998 si è aggiudicato l’unico Slam in carriera. Ma anche l’altro statunitense con sangue ceco nelle vene Martin Damm, mancino, classe 2003, già vicino ai due metri di altezza (il padre, suo omonimo, di nazionalità ceca, fu numero 42 Atp nel 1997). E chissà che nella categoria non possa trovare posto anche il romano Flavio Cobolli, 17 anni, figlio di Stefano, che è stato numero 236 Atp nel 2003, una delle promesse del tennis azzurro.