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Una volta era a piramide, il maestro era il modello da seguire e la partita si faceva soltanto a fine ora. Adesso ha cambiato forma, diventando molto più aperta. Ed ecco perché il cesto deve stare dalla parte del campo dell’allievo, non del maestro
27 giugno 2021
Riscaldamento, tecnica, cesti, esercizi e poi, alla fine, se resta un po’ di tempo, partitella. La lezione di tennis a piramide è sempre stata così. Col maestro nel ruolo del modello da seguire, imitare e da cui apprendere nozioni e direttive. Ma la concezione tradizionale di lezione ‘chiusa’ ormai è andata in soffitta, almeno in Italia, e secondo i dettami della didattica che ha contribuito a creare il sistema Italia e i grandi risultati che tutto il mondo ormai ci riconosce.
L’Italia del tennis è cambiata perché è cambiata la lezione di tennis. Quella che l’Istituto Superiore di Formazione Roberto Lombardi predica e spinge, nella sua funzione di formazione e indirizzo degli insegnanti certificati d’Italia, è una lezione aperta. Che metta al centro di tutto l’allievo, la sua consapevolezza e gli aspetti davvero chiave del tennis moderno. A partire dai colpi d’inizio gioco.
La lezione di tennis oggi non è più a piramide. Al contrario, dovrebbe essere ‘a clessidra’. “Nel 2019 andai da Toni Nadal, in Spagna, ed ebbi la conferma che il lavoro dell’insegnante andava già da tempo in quella direzione”, il ricordo è di Michelangelo Dell’Edera, direttore dell’Istituto Superiore di Formazione Roberto Lombardi, primo promotore della nuova concezione didattica.
“Sapete come cominciava la lezione da Nadal? Con 20 minuti di partita. Altro che alla fine. Dopo venti minuti maestro e allievo si confrontavano: ‘Dopo questo match, su che cosa credi di dover lavorare oggi?’, chiedeva il maestro. L’allievo a quel punto rispondeva con la sua idea e insieme, i due, organizzavano il lavoro successivo. Solo così il maestro, da puro modello da imitare, si trasforma in una guida da seguire. Aumentando e migliorando la consapevolezza, e di conseguenza anche la motivazione, del proprio allievo”.
I vantaggi sono molti. Il lavoro, così facendo, diventa più individuale, specifico. Si passa da un modello top-down a uno bottom-up. “Un allievo consapevole è più motivato, e un allievo più motivato è più pronto a imparare, meglio e più in fretta”, continua Dell’Edera.
Una volta chiusa la sessione di lavoro ed esercitazione si torna alla partita, un’altra volta. “Eccola la clessidra: la lezione comincia ‘aperta’, si ‘chiude’ parzialmente e poi subito dopo ‘si riapre’. In modo che l’atleta possa fin da subito valutare la bontà del lavoro fatto e notare, senza ulteriori attese, i miglioramenti ottenuti tramite il lavoro”.
In questo modo la didattica subisce un vero e proprio terremoto rispetto alla concezione standard, tradizionale. “Ma è un terremoto positivo, in cui il maestro è in grado di ‘educere’, cioè di ‘tirar fuori’ abilità e capacità da ogni singolo allievo. Ricordiamoci sempre che le abilità di ognuno sono intrinseche nel proprio corredo genetico, ma poi queste vanno allenate, sviluppate e migliorate”.
E così la lezione 3.0 punta forte su aspetti che in passato venivano se non del tutto tralasciati, per lo meno sottovalutati. “Basti pensare a servizio e risposta - suggerisce Dell’Edera -, i colpi e le situazioni più importanti del tennis moderno. Prima erano visti come colpi di inizio gioco. Adesso sono considerati colpi di fine gioco, nel senso che servono per fare il punto, per chiudere subito lo scambio appena iniziato”.
La differenza è abissale, tanto che se anni fa ci volevano mesi per cominciare a insegnare questi fondamentali a un bambino alle prime armi con il tennis, adesso sono i primi aspetti da cui si comincia: “Fin dalla prima lezione, fin dal mini-tennis. Anche perché la mentalità, così come la capacità coordinativa, si costruisce in tenerissima età”. Come dire che il clic mentale va fatto subito o è troppo tardi. "I colpi di inizio gioco sono così importanti - suggerisce Dell'Edera - che il cesto dovrebbe stare sempre dalla parte di campo dell'allievo, non in quella del maestro. Così che sia lui, l'allievo, a rimettere sempre in gioco la palla. E a farlo col servizio".
Un altro aspetto fondamentale della nuova filosofia d’approccio alle lezioni di tennis è quello che riguarda la trattazione di temi ed esercitazioni di natura tecnica e tattica. “Dico sempre che nel tennis esiste un come, un quando e un perché. Il ‘come’ è la tecnica, il quando è la ‘tattica’ e il ‘perché’ è l’obiettivo, lo scopo. Una volta la didattica prevedeva che si insegnassero, e dunque si apprendessero in quest’ordine”. Adesso è esattamente il contrario.
Prima viene il ‘perché’: “L’allievo deve sentirsi motivato fin da subito, anche perché è scientificamente provato che gli stimoli cognitivi dei ragazzi di oggi sono molto superiori a quelli che i ragazzini avevano negli Anni ’70 e ’80. Di contro, le loro abilità motorie sono molto inferiori se facciamo il paragone con quelle delle generazioni precedenti, questo perché la società contemporanea porta a uno stile di vita sedentario e passivo rispetto a quello di un tempo”. Ecco un altro buon motivo per il ribaltamento di paradigma.
Sta di fatto che oggi se vuoi che un allievo faccia qualcosa, e che la faccia bene, questi deve essere motivato, consapevole. “Il famoso ‘perché’ arriva prima di tutto. Se dico che il servizio e la risposta sono due degli aspetti più importanti del gioco, devo spiegare e dimostrare perché lo sono. Poi arriva il ‘quando’ e infine arriva il ‘come’, la tecnica per l’appunto”.
Un ulteriore vantaggio di ‘posticipare il come’ risulta nel fatto che la tecnica oggi non è più univoca. “Anzi, è assolutamente il contrario. Almeno secondo due ordini di motivi. Intanto perché in uno sport di situazione come il nostro non esiste più la preparazione al colpo, ma le preparazioni. Non esiste l’impatto, ma gli impatti. Non esiste il finale di colpo, ma i finali. E in secondo luogo perché viene riconosciuta l’individualità”.
Questo è un altro aspetto cruciale, diametralmente opposto alla concezione tradizionale. “Pensate al diritto di Federer, di Djokovic e di Nadal. Sono tutti ottimi colpi e tutti estremamente efficaci, ma sono tutti molto diversi. Non si può più parlare di ‘una’ tecnica. Certo, esistono dei punti in comune di natura bio-meccanica, ma poi ci sono le peculiarità di ognuno. Che vanno non solo preservate, ma valorizzate”. Ecco perché la lezione di tennis oggi deve essere davvero 3.0.